06/04/08

[nihil]


Le serrande scorrono sbadate e rumorose verso il fondo della finestra, come a chiudere quest’intangibile domenica.

con innato masochismo, gli occhi sfuggono, mangiano i rami nel fronte della finestra, divorano i palazzi della strada, penetrano quell’unico angolo che l’ingorgata città lascia al cielo.

E io, terrorizzato lo vedo. In questa mezzanotte il cielo è metallo.

Gli occhi ballano nervosi, cercando in ogni direzione un elemento, un motivo, una nuvola, un camino, una scia d’aereoplano, e ad ogni fuga dal vuoto incontrano vuoto ancora, incontrano una lastra di piombo sui loro passi frenetici. Solo non sanno più dove perdersi.

Io davvero vorrei. Vorrei saperli chiudere.

Ma restano, violentati, spalancati nella visione attonita di un cielo senza colore. Di una lastra senza forma.

I muscoli si scaldano, cercano la contrazione, come per porre fine alla contemplazione di questa in-comunicazione, come a proteggere l’animo da questa malattia. e in questa dipserata ed estenuante contrazione, rimangono immobili. È una paralisi spastica.

Tremo. temo che questo vuoto porti voragine dentro di me, si sazi del mio smarrimento.

Ma questo, questo cielo non ha più fame. è statico. Senza alcuna intenzione di contagiarmi.

Resta lì, sospeso in basso, come cornice vuota, senza voler esprimere nulla più del suo nulla.

Il dolore vomita la paura. E così spoglio della sua più ricca nutrizione, rimane magro. un dolore magro.

Scopre il volto più puro. Il dolore non è sofferenza, ma la sua completa assenza.

non ha sapore. Non parla. Non suona. Non odora.

Non è passibile di descrizione.

Annulla il suo spettatore.

Così gli occhi, senza paura, senza sofferenza, neanche più vogliono chiudersi. Opachi come gocce di granito.

Spalancati, ciechi.

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